IL MIO ROMANZO: “Lo specchio del tempo”

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Genere: romance a sfondo storico

Cuori in affari

Mary decise di frequentare quella scuola di ballo; era rimasta sola, e non voleva rinchiudersi in casa e morire lentamente nell’anima, così sarebbe stata per un paio di ore in mezzo agli altri, chissà, forse si sarebbe distratta e non avrebbe pensato più al suo ex. La maestra di ballo le affiancò un tipo strano, Alfredo, timido ma già molto esperto di balli, certo a livello amatoriale, ma non aveva importanza, Mary non aveva velleità artistiche, voleva solo trascorrere il tempo senza pensare;

In poco tempo il corpo di Mary, già perfetto, si adeguò ai ritmi del ballo, Mary fece grandi progressi e i suoi movimenti ora erano sensuali e sciolti, il suo nuovo cavaliere la vide trasformarsi; il suo nuovo cavaliere tra un ballo, una pausa e una bevanda le stava plagiando la mente.

Alfredo il timido, forse non era tanto timido, ma mentre era un attento cavaliere, diventava all’improvviso dispotico, scostante; Mary non aveva capito ancora che tipo fosse; ma aveva deciso di divertirsi e che il cuore dei maschi non l’avrebbe più ferita; non si sarebbe più innamorata; ma lei era già innamorata e non lo sapeva ancora.

Il suo cavaliere aveva cominciato con un semplice elogio, poi le aveva ripetuto fino alla paranoia che le voleva bene fino a che anche lei era arrivata a dichiarare la stessa cosa. E ora se ne rendeva conto, lui le aveva fatto il lavaggio del cervello, l’aveva condizionata al punto tale che lei ormai parlava come lui, ma forse, lei, era come lui, aveva bisogno di quell’uomo, così fuori dalla norma, così desideroso di averla e a lei piaceva.

Si le piaceva quel cavaliere così scostante, la faceva sentire importante, unica, amata. Comunque sia, lei aveva capito il gioco del suo cavaliere. Pensò che non era tanto innamorata in fin dei conti, si ora forse lei stava cercando uno suo scopo nella vita e ..decise di usare il suo bel cavaliere.

Lo assecondò in quei suoi capricci, lei era sola, non le poteva certo far male un po’ di sesso, sì,d’accordo , era sesso senza amore ma ci si sarebbe abituata e chissà forse anche divertita.

Così incominciò a ripetere le sue frasi. Ti amo, ti voglio, sei mio; tutte frasi del genere, era facile ripeterle, per il sesso, doveva aspettare, non si erano ancora incontrati fuori dalla scuola di ballo, da soli.

Mary aveva deciso, ma non le stava bene fare l’amante, un’amante può, all’improvviso, scocciarsi e cambiare partner, e poi troppa fatica rimanere giovane, un amante deve curare il proprio corpo, un amante deve essere sempre bella e giovane.

Lei decise di sfruttare il suo bell’amante; doveva cercare un lavoro, qualcosa senza responsabilità, un tranquillo lavoro dietro una scrivania, e il suo cavaliere ne aveva di amicizie. Ecco il primo passo, poi sarebbe stato il tempo di una casa  ma una cosa alla volta; ora si doveva impegnare per il lavoro. E lei lo chiamò al telefono, voleva incontrarlo fuori dalla scuola di ballo.

Lui ne fu entusiasta, questo stava aspettando, credeva di averla convinta, non pensò che lei stesse facendo il suo gioco. E si diedero appuntamento in una cittadina fuori dalla cerchia degli amici di ambedue, si ritrovarono alla stazione, subito le loro bocche si cercarono come se rispettassero un antico rituale, ma era solo la prima volta che si vedevano fuori dal ballo ma si erano già tanto legati l’uno all’altro che non ne poterono fare a meno.

E questo preoccupò molto Mary, capì così che voleva fare la dura, ma era già bella e cotta, ci era cascata in pieno, ma anche il suo cavaliere, faceva la parte dell’uomo vissuto ma era di una timidezza esasperante, anche lui aveva il cuore che batteva a mille. Mano nella mano si avviarono a quell’alberghetto sul  litorale, vi arrivarono, si guardarono, e … si misero a ridere, non vi entrarono più, capirono che la loro storia era al principio, e che loro non erano tipo da solo sesso,  dovevano conoscersi un po’. E così s’incamminarono lungo la costa, lei, presa da una strana smania, si tolse le scarpe e scese in spiaggia, lui la seguì e camminarono per molto tempo, si raccontavano, si.. vivevano, la loro storia li stava travolgendo nelle spire della passione e loro ne erano ignari. Poi ritornarono alle auto, si salutarono, si strinsero la mano, un bacio casto e ognuno si girò verso la propria auto, ma lei ci ripensò.

In fretta si voltò, lo prese per il bavero della giacca e lo attirò a se, fu un bacio pieno di … aspettative, fu un travolgimento dell’anima. Lui si staccò, la guardò e allora fu lui che la strinse tra le braccia, aveva delle braccia energiche ma la sua stretta fu anche di una dolcezza sorprendente e si salutarono a malincuore.

Lei risalì sulla sua auto e con una sgommata nervosa si allontanò, dallo specchietto retrovisore vide lui appoggiato alla macchina che accendeva una sigaretta; Mary aveva tutti i pensieri in subbuglio, non si aspettava una simile reazione da se stessa, ma anche la sua reazione era stata strana ma vuoi vedere che giocando, giocando si stavano innamorando per davvero? Lei lo doveva sapere, non voleva impegolarsi in una storia, non ora, ora doveva lavorare per il suo futuro, ma come avrebbe potuto avere ragione del suo cuore? Stava già galoppando a mille ma lei era risoluta.

Considerò quell’attimo come un piccolo incidente di percorso, come una follia da richiudere nel fondo del cuore, e si spaventò del suo stesso cinismo ma ora era cresciuta. Non si sarebbe più innamorata, l’amore, la passione levavano respiro alla vita stessa, questi erano i suoi nuovi pensieri, però non ne era tanto convinta.

Mary conosceva la zona dove lui lavorava e li, in quei paraggi, sul finire della mattinata, si fece trovare un lunedì.

Alfredo: – ehi, Mary (posandole una mano sul braccio) che ci fai da queste parti?

Mary: – avevo un appuntamento, un colloquio per un lavoro ma penso che non sia andata bene; sai mi ha fatto strane proposte e io ho fatto finta di non capire…e così la solita risposta (assumendo un atteggiamento da direttore panciuto e compiacente -bene ,signorina, le faremo sapere. Sa, ci sono tante candidate, sarà difficile stabilire la migliore, quel che possa andare bene per il mio ufficio.

Alfredo: – ma che stronzo; dai, Mary non te la prendere, vieni, andiamo a prenderci un bel caffè … forse io potrei fare qualcosa per te ……. dimmi,  cosa vorresti fare, che titoli hai? non ci mettere il pensiero … ma forse un posto potrei farlo uscire …sai…  Mi piace fare le magie.

Ridendo i due si avviarono al bar in quell’angolo di piazza, entrarono, scelsero un tavolino, si sedettero e ordinarono due caffè. Mary gli raccontò che aveva un diploma di contabile; una minilaurea in economia aziendale; che aveva lavorato come commercialista presso un’azienda locale e che poi, come una stupida aveva lasciato quel lavoro per gestire l’azienda del suo ex, grosso errore, aggiunse che non si dovrebbe unire il lavoro con i sentimenti.

Alfredo la guardò perplesso e poi disse:

-ma che scemenze, io allora ora non dovrei scomodare i miei amici per sistemarti. In quel momento avrai deciso che era meglio così, però se la tua storia fosse continuata ora tu non avresti bisogno di un lavoro? Non ti sembra? E, poi, cosa vuol dire ? Io ora, se penso a una storia con te, non dovrei trovarti un lavoro?

Lei, ridendo, e mentendo:

-ma certo che no, tu avresti l’obbligo di trovarmi un lavoro…… per assicurarti che io non vada a mangiare alla CARITAS e si mise a ridere, un riso quasi a comando, un qualcosa di falso, pieno di ipocrisia.

Nel frattempo il cameriere aveva portato i loro caffè, lo presero, lui pagò e uscirono in strada. Si salutarono e si diedero  appuntamento per quella sera.

Mary si diresse direttamente a casa sua, non aveva intenzione di camminare in cerca di un lavoro, il suo amo era stato gettato, lui vi aveva abboccato, ora era solo questione di tempo.

Alfredo tornò in ufficio, subito si mise al telefono, contrattò qualche amico, ebbe delle promesse e ora toccava alla sua Mary accettare quel che le sembrava più adatto a lei. Quella sera Alfredo telefonò a Mary, le parlò delle probabilità trovate e le passò gli orari per i colloqui, facendole capire che dipendeva solo da lei, che scegliesse quello che più le pareva idoneo.

Mary si sedette sul divano, stese le lunghe gambe, accese la sua ennesima sigaretta, appoggiò il capo sulla spalliera del divano e guardava la strada che stava percorrendo, la sua mente proiettò la sua vita immaginaria su un binario sospeso in aria e si, tra poco un lavoro, avrebbe accettato qualcosa di calmo, rilassante, malleabile, poi avrebbe pensato al proseguo. Stava programmando la sua vita, avrebbe creato la sua tranquillità.

Il giorno dopo, di buon mattino, Mary fece una bella colazione, fette biscottate, burro, marmellata, del latte, un caffè.

Un attimo davanti allo specchio come se volesse intimare a se stessa la tattica da usare; riflessa nello specchio c’era proprio lei, la vera Mary.

Una giovane donna di 32 anni, alta 1’75, longilinea,neanche un grammo in più di peso, una folta capigliatura riccioluta rossa, ma non era un riccio di quelli stretti ed antipatici da tenere a posto.

Erano dei riccioli abbastanza morbidi, lei, solitamente, li sistemava con un grazioso fermaglio su di un lato, il resto le scendeva morbido sulle spalle incorniciando il viso di una bellezza rara.

I suoi occhi verdi spiccavano per la loro profondità, vivaci ed espressivi erano l’invidia di molte donne; il suo nasino aveva un non so che di aristocratico, un naso perfetto ma quello che aveva di bello il suo volto erano le labbra.

Aveva labbra carnose, di un vivido color rosso scuro, ma non erano come quelle labbra rifatte da un qualsiasi chirurgo, era evidente  che le sue erano state modellate da madre natura.

Mary continuava l’ispezione di se stessa, come per convincersi delle opportune scelte di vita che stava attuando; il suo sguardo scendeva lungo il corpo.

Aveva un collo e un decolté stupendi, da Venere, il seno poi, non era eccessivo il suo seno, forse una terza, ma era turgido, sodo, ben disegnato, il sottile giro vita evidenziava i suoi fianchi perfetti e in ultimo le sue lunghe gambe, affusolate.

Mary aprì l’armadio, uno sguardo veloce e scelse l’abito per quel giorno; una gonna e giacca, di un grigio  fumo, una camicetta celeste con dei bottoncini celesti  screziati di grigio, scarpe e borse in tinta: ecco quello era l’abito per quel giorno.

Mary fece una doccia veloce, indossò l’abito scelto, alzò i suoi capelli in una crocchia, per tenerli v’ infilò due bastoncini di vimini, si guardò allo specchio, si, convenne che stavano bene, le donavano un’aria risoluta di donna decisa.

Mise al collo un filo di perle, indossò le scarpe, un tacco appena accennato, doveva dare l’impressione di una donna elegante ma pratica, di una donna bella ma vigile, insomma quel che lei era veramente.

Andò a quel suo primo appuntamento; la fecero accomodare, poi fu ricevuta dal direttore del personale che subito la mandò su, ai piani alti.

Fu ricevuta da un uomo dell’apparente età di 55 anni, una pancia tipica delle persone arrivate, come di quelli che ormai avevano raggiunto l’apice della carriera e che ora non temevano più per il posto di lavoro.

L’uomo le fece capire subito che il posto era già suo, non importava il suo curriculum, era stato già tutto chiarito, doveva solo accettare, ma lei non si accontentò, all’improvviso capì che non era quello che voleva, un posto  di… parcheggio? No, lei non voleva questo, lei voleva un posto di lavoro dove le sue doti sarebbero state messe in discussione, un posto di lavoro dove doveva combattere per affermare le sue idee.

Aveva capito ora cosa avrebbe trovato agli altri colloqui, se li fece tutti, ma la sua sorpresa arrivò all’ultimo indirizzo, c’era proprio Alfredo ad attenderla, sarebbe stato lui il suo datore di lavoro? No, a questo non poteva sottostare, tornò a casa, mise sulla tavola tutti i cartellini  dove era stata, li studiò,  accese il p c e controllò tutte le ditte, cosa trattavano il possibile budget di ognuno di loro e fece la sua scelta. Lei non era il tipo da stare parcheggiata; la ditta scelta era giovane, si stava imponendo sul mercato ed era quella che faceva al suo caso.

Si, convenne che aveva sbagliato, lei non era tipo da fare l’amante, lei voleva una vita sua, la voleva articolare secondo il suo stile, stare otto ore chiusa in un ufficio senza prendere decisioni, ma limarsi solo le unghie?

No, quella non era lei, ma la sua idea iniziale di sfruttare Alfredo restò in piedi, non aveva proprio voglia di fare lunghe file e catastrofici concorsi per un lavoro e poi anche se fosse andata bene ci sarebbe stata sempre l’ultima raccomandata del momento che le avrebbe rubato il  lavoro. Preparò tutto per il giorno dopo, si cambiò di abito, mise un jeans, una polo, raccolse i capelli in un codino, un paio di scarpe comode, un accenno di trucco e raggiunse Alfredo al bar pattuito la mattina. Tipico bar del dopo lavoro dei colletti bianchi, a prima vista ne rimase esterrefatta; sapeva dell’ambiente frequentato da Alfredo ma vederlo e viverlo in prima persona era diverso, quell’atmosfera ebbe un impatto positivo sulla sua anima, le piaceva e le fu facile calarsi nella parte di probabile donna in carriera.

Alfredo la vide e le fece cenno con la mano di raggiungerlo, lei, con passo sicuro, si avvicinò al bancone, si appoggiò appena allo sgabello, non fece come suo solito, non si sedette accavallando le lunghe gambe, ma si appoggiò appena, un piede appoggiato alla traversina dello sgabello e l’altro ben piantato a terra.

Era una posa studiata, avvicinandosi ad Alfredo aveva  dato  un’occhiata alle altre donne, quasi tutte sedevano con quella foggia, per Mary non era uno scimmiottare le altre, per Mary era apprendere nuove regole di vita.

Alfredo prese il suo bicchiere e le fece cenno di  seguirlo, si diresse verso un separé, quasi in fondo al locale, attorno ad un tavolino c’erano due donne, belle, spavalde, sicure di loro stesse, e tre uomini, parevano annoiati, le cravatte allentate, la barba incolta, un non so che di stravagante nello sguardo.

Tutti si animarono alla vista di Alfredo, segno evidente che lo tenevano in gran considerazione; Alfredo presentò Mary al gruppo.

La solita stretta di mano, qualche complimento, ma senza esagerare, però era difficile staccare gli occhi dal viso di Mary, e si, lei era proprio una bella donna.

I  suoi occhi verdi erano di un’intensità straordinaria, unita poi a una vivace intelligenza la facevano diventare un tipo veramente affascinante; i tre amici di Alfredo quasi non riuscivano a staccarle gli occhi di dosso.

Mary si era abituata, aveva una scorta di frasi pronte per l’uso e riuscì ben presto a far distogliere l’attenzione da se; uno degli amici era un giovane direttore di quella stessa impresa che la ragazza aveva visitato la mattina e che aveva deciso di adottare come sua possibile fonte di lavoro.

E fu così che inevitabilmente la discussione volse al lavoro, in quel separé fu deciso l’avvenire di Mary, tra un martini e una manciata di arachidi; non era un lavoro di segretaria ,ma neanche di dirigente.

Mary sarebbe stata come un jolly, ora toccava solo a lei giocare bene le sue carte e farsi conoscere come persona preparata e all’altezza della situazione. Mary era in gamba, aveva portato in attivo la società del suo ex, ed era stata un’impresa alquanto difficile, il suo ex si era riempito di debiti con acquisti azzardati e inutili.

In quell’azienda lei aveva dato il massimo di se stessa, era riuscita in poco tempo ad azzerare le perdite e poi la fine della storia le aveva strappato quel posto di lavoro, si certo lo avrebbe potuto conservare, ma l’idea di ritrovarsi lui ogni giorno le creava non pochi problemi e così aveva dato un taglio a tutta la sua vita precedente; come dire compagno nuovo, lavoro nuovo.

I due giovani salutarono gli amici e uscirono dal bar, s’incamminarono lungo la strada, mano nella mano come due adolescenti, la loro passeggiata era silenziosa, come se avessero paura di spezzare un incantesimo.

Mary si sentiva strana, come se lo stava tradendo, voleva raccontargli tutto ma la vita le aveva insegnato che la sincerità, a volte era pericolosa, tanto comunque erano solo suoi pensieri, che male poteva mai fare se la storia sarebbe diventata più seria, restava sempre un suo segreto.

Camminando lui le poggiò il braccio sulle spalle, tipico gesto protettivo dei fidanzati, Mary restò un poco sconcertata da un simile gesto, lui la considerava già sua? Non sapeva se esserne lusingata o preoccupata ma il suo corpo rispose al suo posto.

Il suo capo si adagiò nell’incavo della spalla di Alfredo, lei, all’improvviso capì se stessa. Tutti quei pensieri di vendetta verso l’altro sesso non erano altro che il desiderio, no anzi, il bisogno di essere amata; capì che la storia precedente non era stata nulla, solo una breve parentesi tra un lavoro e un altro, il suo ex non aveva nulla di romantico, il suo ex era arido, un albero senza frutti, per questo tutto era finito.

Ora lei stava bene con Alfredo, si sentiva parte della sua vita ma come poteva essere? Lo conosceva da così poco tempo e pareva una vita, si riscoprivano a fare gli stessi gesti, gli stessi pensieri, era amore?

Mary non lo sapeva, ma sentiva il vuoto dentro al solo pensiero di perderlo.

Per un attimo pensò alla sua strategia, si, convenne con se stessa che era stata folle pensare di non amare più, il destino le aveva affiancato un uomo eccezionale, fragile e premuroso, lei, la guerriera, aveva perso senza combattere, era vinta, era innamorata, ed ora non sapeva cosa fare.

Alzò lo sguardo e lo vide forse veramente per la prima volta; uomo potente nel suo settore, rispettato e temuto nel lavoro.

Ora era un altro, barba lunga, capelli spettinati e uno sguardo da piccolo cerbiatto, ed era il suo cerbiatto. All’improvviso lui la sospinse in un androne di palazzo, le prese il viso tra le mani e la baciò, un lungo bacio passionale; in quell’attimo Mary scoprì tutto il mondo del suo uomo, Alfredo non mischiava il lavoro con gli affetti, erano come due persone diverse, di una gentilezza e passionalità l’uomo che amava; di una freddezza e padronanza di se l’affarista.

Mary, ad un attento esame capì che loro due erano simili, solo che lei stava sciupando le sue forze, le doveva dirottare verso il lavoro e lasciarsi andare con Alfredo, lui era un esempio da seguire, lui teneva le cose separate.

Alfredo la guardò a lungo negli occhi e poi le chiese:

-Ma cosa stai pensando? Stai qui con me ma ti sento lontano anni luce, come se stessi preparando una guerra; ma su amore mio, rilassati, lasciati andare, non mi va di amare una combattente.

E rise, Alfredo rise di cuore, era felice e lo dimostrava senza pudore, senza reticenze; e si, lui era fatto così, una cosa alla volta ma la faceva per benino, dava tutto se stesso nell’impresa del momento, forse era questa la chiave del suo successo, crederci anima e corpo e non lasciarsi distrarre da altre cose.

E mano nella mano i due amanti si diressero verso la macchina. Questa volta non andarono fuori a un misero albergo, Alfredo le chiese, senza titubanze:

– Ti va di venire da me stasera?ci accoccoliamo sul divano, ci guardiamo negli occhi, senza sesso, senza forzature, si fa ciò che vogliamo, anche solo dormire appoggiati l’uno all’altro.’

I suoi occhi neri all’improvviso divennero così profondi che si potevano leggere i suoi pensieri, le sue passioni, un mare infinito di piacevoli sensazioni e Mary si lasciò andare a quell’oblio di tenerezze, fece di si col capo ed aggiunse, quasi a rafforzare i suoi intenti: – si, andiamo da te amore mio, e se poi vogliamo  ……

I due giovano stettero accoccolati sul divano, un martini e s’incantarono a vedere i vecchi video di Alfredo, c’era un po’ di tutto, giornate al mare con la famiglia, la prima comunione, i 18’anni, risero tutta la sera, e veramente s’addormentarono sul divano appoggiati l’uno all’altro, senza sesso, e ancora una volta scelsero di conoscersi prima, e dormirono placidamente fino alle prime luci dell’alba.

La prima a svegliarsi fu Mary, andò in cucina per preparare il caffè, stava caricando la moka quando fu avvolta dall’abbraccio di Alfredo; lei si lasciò andare, quel bacio sul collo aveva risvegliato in lei antichi ricordi, una voglia improvvisa di appartenergli nacque nel suo animo e Mary assecondò i gesti di lui;  furono attimi vissuti consapevolmente, intensamente, furono momenti importanti per entrambi, ecco, ora avevano scelto di essere l’uno per l’altro, ma l’orologio continuava a scorrere il suo tempo, ed era tardi, ormai ora di ufficio: ridendo si salutarono, Alfredo sotto la doccia e Mary scappò a casa sua, si doveva cambiare d’abito, era il giorno del suo nuovo lavoro, ed era in ritardo.

Mary era una persona pratica, non si perse in inutili tocchi di trucchi, o in momenti di prova per gli abiti; appena un’ombra di trucco.

Indossò velocemente la prima cosa che le capitò sotto le mani e via, in ufficio; la sua praticità, come sempre, le fu di aiuto.

Arrivò in ufficio cinque minuti prima dell’orario, si fermò sulla porta del suo ufficio, con lo sguardo abbracciò ogni centimetro di quell’ambiente, c’era tutto ciò che le poteva servire.

Sentì dietro di se una presenza, si voltò e vide la sua segretaria, una ragazza minuta, esile, i capelli in ordine, legati sulla nuca e fermati da un austero fiocco blu, una mise tipica da segretaria, camicetta golfino e gonna a piegoni, scarpe con un tacco basso, era evidente che la ragazza era seria e dedita al suo lavoro, bene sarebbero andate d’accordo.

Mary le tese la mano e si presentarono; la segretaria si chiamava Olga, aveva una voce ferma, decisa, stabile, e sì, pensò Mary, sarebbero state una coppia perfetta. Mary sapeva che parte del suo successo sarebbe stata anche opera dei suoi collaboratori e quella ragazza pareva efficiente.

Quel lavoro di ufficio era interessante, si d’accordo le sue proposte dovevano passare un’approvazione, ma era proprio questo che piaceva a lei; la competizione con gli altri, era l’ultima arrivata, le sue idee fresche e all’avanguardia stavano contagiando tutti, ormai non era più solo un ufficio, era Mary: un punto fermo per molti.

Dietro alla sua efficienza c’era una preparazione meticolosa, la sera tarda, lei si sedeva davanti al suo pc e studiava l’argomento del giorno dopo, stava delle ore, ma tutto doveva essere chiaro, nitido, non lasciava nulla al caso, lei era Mary, il giorno dopo nessuno avrebbe potuto coglierla impreparata; questa era la Mary lavoratrice: -una macchina sempre efficiente.

C’era quel nuovo contratto che le creava un po’ di problemi, era un doppio contratto, una prima parte non tanto difficile, la seconda riguardava lo smaltimento di rifiuti ospedalieri, era la prima volta che Mary trattava di simile argomento, lo doveva studiare, sviscerare in tutte le sue fasi, nulla doveva essere lasciato inesplorato, e sì, Mary era così, doveva essere padrona della situazione.

In quel contratto c’era qualcosa che non le piaceva. Era diventato il suo tormento, lo sognava anche la notte; la sua ditta avrebbe acquistato le scorie per lo smaltimento; quei rifiuti facevano un giro pazzesco per poi finire quasi al punto da dove erano partite, ma quella non era una zona di smaltimento.

Mary non riusciva a capire il perché di tutto; pagare per portare un carico ingombrante e pericoloso in giro per tutta l’Europa e riportarlo in Italia in una zona non attrezzata per lo smaltimento? La sua mente cercava risposte; stava già da due notti su quel contratto e non ne veniva a capo.

Quella notte decise all’improvviso di recarsi sul sito, lei doveva capire, cavolo in discussione c’era il suo avvenire, e se poi, come aveva sospettato, era solo un cane che si mordeva la coda?

Alle prime luci dell’alba si mise in macchina e parti per la Campania, quello era il sito designato, la mente di Mary non riusciva a collegare al posto giusto tutti i pezzi del suo puzzle. Ecco, giunta sul luogo, aperta campagna, non c’era nulla, nulla, solo un odore nauseabondo. E lei cercò di capire la sorgente di quell’odore.

C’erano delle alture, strane alture. Le osservò, ci girò intorno, e vide quei lembi di plastica, difficile alzarli, pesanti e poi su c’era cresciuta della vegetazione e poi vide, in parte in parte dei liquami maleodoranti, scuri, ispezionò meglio quella vasta zona, s’inerpicò su quelle alture, tutta la mattinata scorazzò in quei luoghi, e quasi alla fine, quando stava per cedere alla stanchezza, quando aveva deciso di andare via lo vide. Vide il bordo di un fusto, vecchio, arrugginito, vi scavò un po’ intorno, era bucherellato in parte, in parte, la ruggine lo stava consumando e dai quei fori fuoriusciva un rivolo appena visibile di liquame, che odore odioso, acre, bruciava gli occhi, la gola arsa, lei si allontanò subito, la sua mente analizzò velocemente il tutto. I rifiuti, dunque, erano abbandonati?

Aveva bisogno di riflettere, prese una sigaretta e si rese conto di avere le mani troppo sporche per portare la sigaretta alle labbra, aveva visto poco prima un torrente, cercò di ricordare e si avvicinò ma le mani non le poté lavare, quel torrente, a un attento esame aveva delle acque di uno strano colore, delle striature colorate comparivano all’improvviso per poi sparire tra le sue stesse onde, un arcobaleno mobile solcava quelle acque fetide.

Una strana fretta s’impossessò di lei, velocemente si avviò alla macchina, doveva lasciare quel posto, subito. Salì in macchina e partì. Al primo rifornitore si fermò, andò nei bagni e lavò scrupolosamente le mani, appena il tempo di un caffè e via verso l’ufficio.

Vi arrivò nel primo pomeriggio, in riunione, c’erano tutti e la guardarono un po’ perplessi, non l’avevano mai vista accigliata, metteva  soggezione, si capiva subito che qualcosa l’aveva contrariata.

Mary si sedette al suo posto e lasciò che tutti dicessero la loro, chiese qualche chiarimento e, in preda ad una strana agitazione, si alzò e affermò che lei non aveva intenzione di avvallare quel contratto perché dei punti non le erano ancora chiari, aveva bisogno di un’altra settimana, e le fu accordato altro tempo; ormai la conoscevano, sapevano che le sue scelte erano giuste e a favore dell’azienda.

Solo un collega fece dell’ostruzionismo, disse che il contratto era già perfezionato e che non c’era la necessità di altre analisi. Questo discorso allertò la mente di Mary; dunque era lui l’anello bacato di congiunzione tra il lecito e l’illegale? Doveva stare attenta e muoversi con cautela, lasciò la seduta e si diresse al suo ufficio, qualche telefonata, chiamò la segretaria, le lasciò dei promemoria per il giorno e andò via.

Mary aveva appuntamento con un caro amico, uno della procura, lei doveva sapere, in fondo era questo il suo lavoro, trovare le falle nei contratti e risolverle, lavoro di responsabilità e di prestigio.

Si presentò all’appuntamento con Alfredo, lei voleva essere sicura di capire bene, Alfredo sarebbe stato un valido aiuto, raccontò la sua verità all’amico Gustavo, tenente dei NAS.

Gustavo scuoteva la testa mentre ascoltava; poi le disse chiaramente di abbandonare quel progetto, di non accettare il contratto, Gustavo non svelò i retroscena ma lasciò capire che loro già stavano indagando, già sapevano di quei malsani affari e che le loro indagini si sarebbero chiuse entro poco tempo.

Mary e Alfredo andarono via, Mary era molto contrariata, non sapeva come muoversi, la sua difficoltà era palese e il caro Alfredo le venne in aiuto, le suggerì di mettersi in malattia, di inventarsi un malanno per cui abbandonava per un po’ la scena. L’idea era accettabile e attuabile, però Mary era sana come un pesce, cosa mai poteva accusare?

E assorta nei suoi pensieri non si accorse della buca proprio davanti a lei, Alfredo non fece in tempo ad afferrarla e lei mise il piede in malo modo, sentì un dolore sordo alla caviglia, un calore improvviso e assurdo, si aggrappò al braccio di Alfredo, ma non riusciva a poggiare il piede a terra, dal bar vicino si fece avanti un commesso che aiutò Alfredo a sostenere la ragazza che zoppicando si sedette su una sedia fuori a quel bar, Alfredo provò a toglierle la scarpa ma il dolore era troppo, lei tra una lacrima ed un sorriso forzato ebbe la sfrontatezza di dire:

-Ecco, Alfredo, il mio malessere servito su un doloroso piatto d’argento, su vai a prendere l’auto che mi accompagni in ospedale.

OSPEDALE-

Ebbene, dalle lastre risultò una bella contusione, le immobilizzarono l’arto e le diedero trenta giorni di convalescenza e riposo assoluto.

Mary non era tipo da riposo assoluto, sarebbe stato per lei un mese lungo assai, però era quello che le serviva, si poteva assentare senza far nascere sospetti, e comunque quei trenta giorni li poteva investire in una ricerca personale.

Aveva dei parenti a Napoli, ci si poteva recare e vedere se riusciva a capirci qualcosa in quel dannato contratto.

Quella mattina Alfredo le fece da accompagnatore, la portò in ufficio dove Mary consegnò il referto dell’ospedale, poi la accompagnò a casa.

Mary aveva deciso di partire quella mattina stessa per Napoli, Alfredo non capiva la sua fretta, poi con quella stampella le faceva proprio tenerezza; ma conosceva la testardaggine di lei e decise di assecondarla, poteva comunque raggiungerla a Napoli durante il fine settimana.

Il povero Alfredo si assicurò che Mary stesse comoda su quel treno, preso tra l’altro per il rotto della cuffia e, sconsolato la guardò partire.

Gli scossoni del treno le crearono non pochi problemi, ma lei era tutta assorta sul suo lavoro; contrattò telefonicamente il suo appoggio a Napoli e rimuginava con la mente cosa poteva mai scoprire a Napoli.

Sapeva che si doveva muovere con cautela, sapeva che era un territorio minato, ma lei non aveva intenzioni di scoprire chissà quali marchingegni, voleva sapere solo come funzionava un po’ tutta la faccenda e se quel suo collega tanto solerte fosse veramente colluso con la mafia di Napoli.

Alla stazione Mary trovò la cugina Sofia ad attenderla; erano circa quindici anni che non si vedevano; Dio com’era cambiata; aveva ancora un bel fisico, era evidente comunque essere una mamma, le sue rotondità erano più dolci, non aveva nulla più di quelle spigolosità tipiche dell’età giovanili, i capelli poi portati corti, e si con quattro figli non c’era più tanto tempo da dedicare a se stesse e un capello corto era più gestibile la mattina per accompagnare i figli a scuola, appena un accenno di trucco ma sarebbe stato anche inutili.

Sia lei che Sofia aveva dei bei lineamenti, Mary restò un po’ perplessa con il rossetto, la cugina non ne usava eppure era una patita in gioventù, nel suo beauty-case i rossetti facevano numero, ne aveva di tutti i colori, e, incuriosita Mary le chiese esplicitamente il perché della mancanza di una cosa così importante per il passato.

Sofia placidamente le rispose che andava sempre di fretta e che poi il figlio rifiutava un suo bacio fuori la scuola con il rossetto; i compagni di scuola lo prendevano in giro e così lei ci rinunciava volentieri perché era più importante il figlio del rossetto. Il primo scontro di Mary con una realtà diversa da quello cui lei era abituata, ricordava la cugina anni addietro, spensierata sul suo motorino perennemente con i capelli al vento, ben sapendo che poi la sera sarebbero stati tutti ingarbugliati; la ritrovava ora giovane donna, giovane madre cosciente del suo ruolo, premurosa e affabile da non crederci. E Mary, con la fantasia correva, si chiedeva se sarebbe stato così anche per lei una volta che avesse deciso di avere un figlio? Fu un pensiero veloce, no, lei non voleva zavorra, non avrebbe voluto avere, per il momento, un figlio. La Giovane Mary non sapeva che diventare madre non era un contratto con se stessi, era un momento delicato che trasformava il modo di concepire la stessa vita, ma lei non era pronta per questo ruolo, troppi progetti da soddisfare, un figlio sarebbe stata una catena e lei non era pronta.

Mentre era assorta nei suoi pensieri, erano arrivate a casa della cugina, il viaggio in treno e poi quello in macchina l’avevano proprio stancata, la caviglia le doleva molto.

Sofia le aveva preparato un lettino da spiaggia sulla sua terrazza, la aiutò a stendersi, le levò la scarpa, le portò una bevanda fresca e le disse di riposarsi mentre lei preparava il pranzo, per chiacchierare c’era tempo.

Mary sorseggiava la sua bibita, e poi s’incantò ad osservare il panorama, Dio che splendida visuale, il suo sguardo abbracciava tutto il golfo, viaggiava veloce la mente di Mary sui binari dei suoi ricordi,  percorreva con il pensiero quei vicoletti angusti e pieni di vita, s’immaginava a guardare il cielo ed incontrava ininterrotte corde tra un palazzo ed un altro dove facevano bella vista di se i panni ad asciugare, tipico di quei vicoli.

La stanchezza ebbe ragione di Mary; si appisolò su quel lettino, esausta. Sofia la lasciò dormire tranquilla, verso sera Mary si svegliò, la caviglia non le dava più fastidio, aveva intorno a se i nipotini che la guardavano incuriositi; quella zia venuta da lontano con la caviglia bendata suscitava la loro fantasia.

Mary li osservava con calma, il più grande, Roberto era davvero alto per la sua età, appena tredici anni compiuti, frequentava la III media con profitto, aveva i capelli della madre, lisci, neri, portati molto corti, il viso era testimone dei cambiamenti tipici in quell’età così particolare, occhi castani scuri, vigili, attenti, il naso era il suo cruccio, si stava modificando, ora era grosso e lui non credeva che poi si sarebbe adattato al suo viso, le labbra normali, comunissime labbra, faceva palestra e il suo fisico ne era testimone, una bella massa muscolare lo sosteneva e una certa elasticità nei movimenti.

Mary volse lo sguardo sul secondo nipotino, Carlo, una capigliatura incredibile, aveva preso dal padre Vittorio, quei capelli impossibili, certi ricci stretti, stretti che il ragazzino portava un po’ lunghi, cercava di coprire quelle deliziose orecchie a sventola, la sua dannazione;  gli occhi erano come quelli del fratello, quasi identici, solo che lo sguardo in lui aveva quel guizzo tipico degli scugnizzi, non praticava nessuno sport, lui diceva che non c’era portato e mentre parlava assestava un altro punto sul suo nintendo, e si, era appassionato di giochini  tecnologici, aveva, tra i suoi giochi, quasi tutte le novità e una bella pancia da bambino sedentario.

Più in disparte c’era Alida, la femminuccia più grande, esile come il primo fratello, alta, capelli neri lunghi e lisci, come quelli della mamma da giovane, occhi intensi di un bel colore verde scuro con striature castano, un nasino normale, come pure le labbra, quello che la distingueva erano gli zigomi, erano alti, sarebbe diventata una bella donna da adulta.

Ed ecco, aggrappata alla gonna della sua mamma l’ultima della nidiata, Manuela, appena quattro anni, capelli rossi, come la zia, arruffati, lunghi, degli occhietti castani scuri scrutavano la zia, delle lentiggini le coprivano tutta la superficie del naso, le labbra piccole e deliziose, un bel tipetto canzonatorio e scherzoso, il suo carattere gioviale la rendeva unica.

Stette qualche giorno a oziare con i nipotini, era assetata della loro compagnia e si riprendeva un po’ dal suo problema, dalla stanchezza del viaggio, dal pensiero di quel suo collega così desideroso di portare il contratto a termine.

La sera chiacchierava con la cugina; le raccontò di quello che aveva scoperto, di quello che sperava di conoscere a Napoli; la cugina la tranquillizzò, le disse di non muoversi da quella casa, era un viso nuovo e non sapeva cosa domandare e a chi, ci avrebbe pensato lei, conosceva dei tali, avrebbe saputo, solo un po’ di tempo e avrebbe saputo.

In effetti, così fu, Sofia in poco più di una settimana seppe molte cose, senza correre pericoli, tranquillamente come se fosse stato solo un pettegolezzo di negozio.

Mary aveva visto giusto, i rifiuti ospedalieri non erano venduti per nulla, viaggiavano solo un po’, il guadagno stava nel sotterrarli e in contemporanea erano riciclati i soldi della droga, era un lavaggio perfetto.

Mary non disse alla cugina che il tutto era già sotto controllo, non poteva, avrebbe scoperchiato un calderone infuocato, tutto doveva procedere come prima, tanto la cugina non vi era coinvolta, il marito aveva un negozio di salumi, non poteva saper nulla di rifiuti ospedalieri.

Passarono altri giorni spensierati per Mary, e poi quel venerdì lei era proprio euforica, sarebbe venuto anche Alfredo, lo avrebbe presentato alla cugina, Alfredo viaggiava in macchina e Mary decise che poi sarebbe risalito con lui.

Erano le 16 circa Sofia e Vittorio si preparavano per andare ad aprire il loro negozio, stavano aspettando con ansia l’arrivo di Alfredo, anche solo per una stretta di mano veloce, poi la sera si sarebbero conosciuti con calma, ma Alfredo non arrivava, eppure era veloce nella guida.

Frosinone –Napoli non era una tratta così lunga; Mary provò a chiamarlo molte volte ma il cellulare suonava a vuoto. Dannazione alla caviglia, non potersi muovere era un vero tormento, Mary non sapeva proprio come fare quando finalmente squillò il suo cellulare.

Alfredo non era più partito, quel suo amico, il datore di lavoro di Mary era stato arrestato  e anche molti della stessa ditta; alcuni  camion dei trasporti rifiuti erano stati bloccati al confine, ma non quando uscivano dall’Italia, bensì  quando vi rientravano ancora con il loro mortale carico, altri erano stati bloccati mentre scaricavano il loro carico di veleni.

Ecco l’operazione anticipatale dal suo amico Gustavo era stata attuata.

Alfredo si stava preoccupando per l’amico, gli aveva trovato un abile avvocato. Sapeva della sua innocenza, sapeva che presto sarebbe stato rilasciato, ma ora lui lo doveva aiutare, fargli sentire la sua presenza e allora, addio viaggio a Napoli.

Mary decise di rientrare, sapeva che sarebbe stata interrogata anche lei; e lei sapeva molte cose.

RITORNO A CASA

Il mattino dopo Sofia accompagnò Mary alla stazione, le due cugine si salutarono con un abbraccio nostalgico.

Alla stazione di Frosinone Mary trovò la sua segretaria che le aveva usato la gentilezza di andarla a prendere.

Arrivata a casa, Mary trovò una convocazione del comando dei carabinieri; contrattò il suo avvocato per farsi accompagnare, pensò che fosse meglio presentarsi direttamente assistita da un legale, non voleva che le sue dichiarazioni si potessero volgere contro, ed avvisò anche il suo amico Gustavo.

Insieme decisero di incontrarsi prima, ma sempre al comando, ora la cosa si doveva muovere sui binari della trasparenza, l’eco del sequestro era troppo alto per cercare di gestire il tutto senza far rumore.

La deposizione di Mary fu messa a verbale, di quello che lei venne a sapere giù non ne parlò, voleva evitare di coinvolgere anche la cugina e poi dai giornali aveva capito che erano fatti già risaputi; la sua assenza dal lavoro fu anche la sua fortuna, infatti, il contratto fu perfezionato durante la sua malattia.

Per la sua caviglia erano passati già ventotto giorni, Mary provò a presentarsi in ospedale, era stanca di non potersi muovere liberamente, e poi ora in ufficio serviva una mente geniale come la sua, bisognava creare una nuova affidabilità alla ditta, in effetti, lei voleva solo conservare il suo posto di lavoro, le piaceva quella ditta, aveva forte possibilità di crescere e il personale, escludendo alcuni, era capace e simpatico.

Mary, in  ospedale, fu accompagnata dal suo Alfredo, il medico, dopo i soliti controlli, le confermò una perfetta guarigione, le sbendò la caviglia, un minimo di terapia a base di pomata locale e la rimandò a casa. Mary e  Alfredo si presero il pomeriggio di libertà. Alfredo la portò al mare, le disse che camminare sulla sabbia le avrebbe giovato, e, in effetti, così fu, passeggiare a piedi nudi su un suolo che cedeva volentieri al suo passo, fu un vero piacere, la sabbia assecondava il suo passo senza cedere troppo, offrendo comunque ai suoi piedi un appoggio morbido e stabile.

La giornata fu molto lunga e articolata, Mary era veramente stanca, si fece accompagnare a casa da Alfredo, lo salutò con un caloroso e stanco bacio, mise il suo bel pigiama comodo e s’infilò sotto le coperte, neanche il tempo di stiracchiarsi per benino che cadde in un profondo e salutare sonno.

Il mattino dopo Mary si svegliò con una grinta eccezionale, fu veloce nel vestirsi, e si recò in ufficio, il suo archivio era …. completamente vuoto, i carabinieri avevano sequestrato tutto, in tutta la ditta non vi era rimasto neanche un appuntino, nulla. Mary si ricordò di non aver fatto colazione, invitò la sua segretaria e giù al bar, si sedettero al tavolino e Mary ordinò cornetti e cappuccini, divorò con gusto la sua colazione, poi uscirono dal bar e Mary disse alla segretaria che poteva prendersi mezza giornata di libertà, ma alle 14 doveva stare in ufficio, c’era molto lavoro da fare.

La segretaria la guardò stupita, ma se non c’erano documenti, su cosa avrebbero potuto lavorare?

Mary la guardò con un piglio strano, le disse di non preoccuparsi, lei avrebbe portato i documenti, e che, se poteva, di trovarle un pc, sarebbe stato indispensabile.

Mary si recò in quella vecchia casa di sua zia fuori città, proprio alla periferia estrema, aveva lì messo al sicuro tutti i suoi documenti, su quel pc vecchio e lento che la zia le aveva lasciato in eredità.

Fece una copia di ogni cosa su due pennine diverse. Richiuse la casa dietro le sue spalle, e si recò al primo ufficio postale dove spedì una delle pennine alla cugina Sofia, e poi dritta all’ufficio. Vi arrivò appena alle 14’05, la sua segretaria già stava in ufficio, era riuscita a procurarle un paio di pc e le due donne si misero al lavoro, da sole in quegli uffici vuoti, avevano molti programmi da riesaminare, sarebbe stato un lungo pomeriggio.

Nel frattempo il suo datore di lavoro fu rilasciato, Alfredo lo andò a prendere, si abbracciarono i due amici, l’uno contento di essere stato creduto e rilasciato, l’altro fiducioso nella vita, e sì, Alfredo sentiva in fondo all’anima che qualcosa sarebbe accaduto, qualcosa di positivo; chiese all’amico Giacomo dove voleva essere accompagnato.

Giacomo: – Alfredo, se non ti scoccia, portami in ufficio.

Alfredo fu preso da un attimo di panico, sapeva che dopo l’irruzione della polizia tutti gli uffici erano spogli di ogni cosa, si rattristò un poco il cuore.

Alfredo:- ma dai, ci andrai domani, ora torna a casa, fatti una bella doccia  e domani andrai in ufficio.

Giacomo: – no Alfredo, ci devo andare ora, devo vedere cosa posso salvare ancora, questo fatto ha distrutto anni di lavoro, non ho più nulla ormai, anzi, ti serve un operaio? E giù, un’amara risata.

Alfredo (dandogli una pacca sulla spalla):-Su, monta in macchina, andiamo.

E i due amici si recarono presso gli uffici, Alfredo parcheggiò, i due scesero dall’auto e Giacomo alzò lo sguardo verso le finestre dei suoi uffici, fu sorpreso nel vedere le luci accese, guardò il suo amico chiedendo tacitamente con lo sguardo spiegazioni.

Anche Alfredo alzò lo sguardo, anche lui rimase stupito, e rivolto all’amico:

– Su, saliamo, andiamo a vedere chi c’è.

Nella sua voce rassegnazione, Alfredo pensava a un altro sopraluogo da parte dei carabinieri, ipotizzando qualche altro controllo.

Restarono senza parole i due amici quando aprirono le porte dell’ufficio; tra una marea d’incartamenti Mary e Olga si muovevano sicure e indaffaratissime, sobbalzarono alla vista dei due uomini, Giacomo rimase immobile, come se non capisse; Mary gli si avvicinò, con delle cartelline in mano dicendo:

– Giacomo, non è tutto perduto, ci sono molti contratti ancora in piedi con clausole vincolanti, se riusciamo a rispettare delle scadenze, forse potremmo andare avanti.

Guglielmo:- ma come faremo, non abbiamo più nulla su cui lavorare? E cadendo a sedere su di una sedia, il capo tra le mani, lo sguardo fisso a terra e la voce piegata dalla sconfitta ma come faremo?

Mary:- Non tutti i documenti sono andati perduti, quelli affidati a me sono tutti salvi. Io ne facevo sempre delle copie, sa, già mi ero trovata a lavorare per una ditta in difficoltà e ho pensato che avere una copia sarebbe stato utile.

Poi c’era quell’ESPOSITO GAETANO che non mi è mai piaciuto, ho le copie dei suoi incartamenti, li stiamo studiando, ci sono molti punti oscuri, secondo i miei dati, saresti fallito tra non molto tempo.

Lui stava lavorando per accollarsi la ditta, aveva già acquisito i nostri debiti, quasi tutti, ma possiamo fermare tutto; lui ora sta un po’ fermo, sta sotto controllo per la storia dei rifiuti.

Possiamo riprenderci, ma ci servono i capitali per i debiti, una bella cifretta, ma ne parleremo domani, su non ti scoraggiare, c’è sempre una soluzione,  verremo a capo di ogni cosa.

Alfredo portalo a casa e assicurati che si riposi, domani sarà una giornata da incubo per noi, ma se ci va bene!

Alfredo la guardava con ammirazione, la sua donna che si muoveva elegantemente tra le scartoffie con la leggiadria di una ballerina e la fame di uno squalo, Dio come la amava.

Il giorno dopo Mary e Giacomo si recarono in banca, fu una mattinata tremenda.

L’istituto di credito non voleva in alcun modo emettere un prestito, la banca non lavorava con ditte colluse, bisognava trovare un’altra strada, quei debiti andavano risolti, era veramente un periodo brutto, se la ditta falliva, anche i posti di lavoro saltavano, 450 tra operai e impiegati, e poi, quelle erano le sfide che piacevano a Mary, solleticavano il suo senso della vita.

Mary doveva riflettere; quella sera Mary non uscì con il suo Alfredo, troppo nervosa, sarebbe stata una cattiva compagnia, e poi la sua mente aveva bisogno di restare da sola con se stessa, doveva trovare una soluzione; tutta la notte restò sveglia, controllò tutti i documenti, tutte le scartoffie ma non riusciva a venirne a capo.

Mary pensò che forse era meglio staccare un po’ la spina.

Riempì la sua vasca da bagno, aggiunse il suo profumo preferito, olio  di eucalipto, un’essenza che la rilassava, lentamente si spogliò, s’immerse nella vasca abbandonando il corpo al piacere di quell’acqua piacevolmente calda, appoggiò il capo e chiuse gli occhi. Passò così un tempo sconosciuto, ma l’acqua ormai aveva perso il suo calore quando Mary si riebbe improvvisamente da quel suo torpore, guizzò a sedere, ma sì, aveva trovato la soluzione, doveva essere per forza così.

Rianimata dai suoi stessi pensieri  uscì dalla vasca, indossò l’accappatoio, si asciugò i piedi ed andò in camera, verso l’armadio, diede un’occhiata alla sveglia sul comodino, le 5, tra quasi due ore sarebbe stato ora di ufficio, bene aveva tutto il tempo di prepararsi. Si vesti con cura, no elegante, avrebbe avuto a che fare con gli operai.

Doveva quella mattina abolire quello scalino immaginario che si crea tra impiegati e operai, aveva un jeans, una camicetta con un golfino, poco trucco, senza monili e un paio di scarpette da tennis; ecco, quello era l’abbigliamento giusto per quella mattina.

E si recò in ufficio, parlò con la segretaria che organizzò una riunione straordinaria, Mary, sicura, espose il suo piano, trovò negli altri condivisione e scetticismo, c’era chi la appoggiava e chi non ci credeva, a lei serviva solo un consenso e fu in quel mentre che Giacomo si alzò per un discorso:

– Signori la ditta è di mia proprietà, sta andando a rotoli, io non ho soluzioni, vedere tutto il mio lavoro e quello di mio padre prima di me, vanificato, mi distrugge; Mary da sempre ha saputo trovare soluzioni, azzardate, ma tutte hanno dato degli ottimi risultati, io le consegno la ditta in mano, sono sicuro che lei la salverà, e poi, signori miei, mi sapete dire cosa potrei ancora perdere?

Il primo passo era fatto; ora l’assemblea con i lavoratori; Mary si rivolse dapprima ai sindacalisti e poi il suo sguardo, come un’attrice consumata, abbracciò tutta la platea:

-Signori, per quest’assemblea vi chiedo di mettere da parte il vostro ruolo di sindacalisti; non lo chiedo come dipendente, ma come collega, siamo sulla stessa barca e sta affondando; vi chiedo solo di ascoltarmi, poi ognuno di voi tornerà alle proprie case e non verrete al lavoro per tre giorni.

Dovrete decidere un aspetto serio e grave, a voi tutti si chiede un sacrificio, a voi tutti si chiede un appoggio, come ben sapete la ditta è in cattive acque, per l’ingordigia di pochi, per la vessazione di pochi, per la sete di potere di pochi, ma chi ci perde siamo noi.

Sono io perché non avrò più un ufficio, saranno gli altri impiegati perché anche il loro ufficio sarà sequestrato, sarete voi tutti, i nostri mezzi e i nostri macchinari sono sotto sequestro e lo vedete da voi, questo piazzale mette terrore così vuoto, questo piazzale incute timore con i suoi silenzi, e pensare che la prima volta che l’ho attraversato, ho dovuto gridare per farmi ascoltare tanto erano i rombi dei motori. Ebbene signori io vi chiedo di intervenire con i vostri capitali, quello che potete, quello che avete, quello che volete, sarete tutti nominati soci in base alla quota che potrete dare, e se andrà bene e se ci riprenderemo, ci saranno anche premi sugli utili, pensate che il posto di lavoro è a rischio.

Certo potete aprire azione legale, sarete risarciti fin dove la ditta produrrà capitali ma sapete che una vendita all’asta non vi garantisce nulla, e poi non vi garantisce più un lavoro.

Se uniremo le nostre forze, c’è la possibilità di farcela, avremo altri contratti, avremo altro lavoro, ma voi dovete intervenire presto, non lasciate che la ditta, il vostro posto di lavoro vada perduto.

Io non ho nulla più da dirvi, rifletteteci, è una speranza, è un azzardo, vi si chiede forse troppo; fra tre giorni vi aspetterò qui per un sì o per un no, sta a voi la scelta. Non sarete certo biasimati per un no, la vita vi chiede di schierarvi per una volta, mettete da parte le vostre paure; imbarcatevi per queste nuove spiagge, sì, dovremmo attraversare la risacca, la scogliera … ma poi c’è l’arenile, lunga distesa di sabbia bianca e finissima, dove ci potremmo finalmente riposare, dove ognuno di voi avrà diritto al suo ombrellone; ma l’ombrellone ve lo dovrete guadagnare con un’azione coraggiosa.

Mary si voltò per andare via quando, dapprima lento poi con forza e clamore senti un battito di mani poi un altro ancora fin quando tutti la applaudivano, una lacrima inumidì i suoi occhi, lei ci credeva per davvero nel suo discorso.

I tre giorni di chiusura non erano certo anche per lei, Mary e pochi collaboratori fidati stavano studiando una strategia di mercato, avevano molto lavoro da svolgere, le prossime scadenze incalzavano e loro dovevano essere pronti a tutto.

Nonostante le preoccupazioni, il lavoro incessante, Mary pareva rinata a nuova vita, quegli attimi di vita frenetica, di decisioni importanti la caricavano di nuove energie, Mary era nata per dirigere, aveva una mente di un’elasticità sorprendente, riusciva con pochi elementi a focalizzare tutta la questione e le sue risorse in soluzioni eccezionali e azzardate davano immediata risoluzione a qualsiasi problema.

Dopo appena due giorni la bozza dei lavori da eseguire fu pronta, ora bisognava aspettare solo la nuova assemblea, ora bisognava aspettare. Inquieta come un purosangue prima della corsa, Mary non riusciva a star ferma, pareva che avesse mille cose da fare; Alfredo non l’aveva mai vista all’opera, riconobbe una professionalità, una capacità di interagire, un qualcosa di eccezionale in quella donna, nella sua donna.

Arrivò il giorno dell’assemblea, Mary aveva dormito poco e male, il nervosismo e la tensione erano stati suoi compagni di sonno.

Si alzò con una certa indolenza proprio quel giorno, una calma impressionante ora governava il suo animo, e sì, lei era fatta così, nel momento più importante della questione una cinica freddezza s’impossessava della sua mente.

Lei viveva come esterno al suo stesso corpo, riusciva a non farsi coinvolgere e così che dava il meglio di se perché per lei non ci sarebbero state ne perdite ne profitti, riusciva in questo modo a gestire tutti i particolari e se qualcosa tentava a non seguire il binario giusto, lei lo convogliava dove aveva deciso.

Questa era la sua tattica, questa era la sua forza. Arrivò volutamente cinque minuti più tardi dell’ora stabilita, al suo apparire la platea si ammutolì come per incanto e si aprì in due ali e Mary si trovò, suo malgrado, a dover passare tra quelle due ali.

Man mano che avanzava scrutava i volti degli operai e un dolce fremito s’impossessò del suo animo, non riuscì più Mary a essere fredda e calcolata, aveva intuito l’esito finale dell’assemblea. Si fermo al podio, un attimo per riempire i polmoni di nuovo ossigeno rigeneratore, lentamente si voltò verso la sua folla. E gli operai, senza proferire parola, come per ubbidire a un comando già impartito, si posero in fila indiana ed incominciarono a sfilare.

Ecco il primo, si avvicinò e consegnò a Mary una busta; Mary la prese come se fosse stata una preziosa reliquia, poi alzò lo sguardo sull’operaio, un viso rugoso e esageratamente abbronzato da anni di autostrade, spalle ampie e forti come chi per anni aveva dovuto manovrare quei colossi della strada.

Mary lo guardò negli occhi, uno sguardo profondo, Mary vi lesse la speranza, in quello sguardo c’era tutta la voglia di riscatto da una vita precaria, da un lavoro incerto. L’operaio la guardò, poi abbassò lo sguardo sulla busta e poi di nuovo su Mary, tacitamente le aveva detto:

– Ne, che fai? Non la apri?

E con mano tremante Mary aprì quella busta, vi trovò un cospicuo assegno, la giovane donna alzò lo sguardo di nuovo verso l’operaio che già stava oltre e ancora una busta, ancora un lavoratore, c’erano buste senza assegni, con denaro cartaceo, stiracchiato, cifre esigue.

Mary davanti a quelle buste non batteva ciglio, in cuor suo erano più preziose delle altre, immaginava il sacrificio di quella famiglia per racimolare simile somma, unico suo gesto, per testimoniare l’affetto, era trattenere un attimo in più la stretta di mano all’operaio del momento.

La cosa andò avanti per circa due ore … alla fine ci fu un  lungo applauso e Mary si senti obbligata a salire su quel podio, li guardò tutti, e ancora un’altra volta, voleva fissare in maniera indelebile quei visi nella sua mente, avevano creduto in lei:

– Signori ma che signori, RAGAZZI siete eccezionali, vedrete che ce la faremo, vedrete, non deluderò le vostre attese … e ora .. al lavoro, subito, ci sono dei contratti da onorare, son riuscita a condonare la metà dei mezzi, su, su ecco i documenti per il dissequestro, andate e … riportateli a casa quei mezzi, son stati fermi per troppo tempo.

L’assemblea si dissolse, senza fretta ma con solerzia, Mary e i pochi colleghi fidati si rintanarono negli uffici.

Fu una settimana frenetica, catalogarono tutti gli assegni, furono preparate le distinte di versamento; furono emesse le obbligazioni per gli operai, quelli furono giorni di duro lavoro, e diedero i loro frutti.

La ditta, in appena due mesi, riprese a lavorare a pieno ritmo, i debiti furono  estinti senza alcun fido; tutti i mezzi dissequestrati; tutti gli operai al loro posto, soddisfatti, ora erano soci, lavoravano con un’altra lena, una vivacità straordinaria.

Anche la ditta ne trasse beneficio, pareva tenuta meglio, come se ognuno si sentisse responsabile della struttura propria dell’azienda; era come se ognuno fosse felice di recarsi al lavoro; alcuni operai si misero a tinteggiare anche la sala mensa.

Alfredo osservava la sua donna da lontano, non avrebbe mai immaginato che avesse una così carica vitale; a volte pensava che se l’avesse avuta come antagonista negli affari, beh sarebbe stata una bella gatta da pelare.

Ringraziò il Dio che le loro aziende riguardavano due ambienti diversi, quella di Mary s’interessava di trasporti e la sua di pubblicità e meeting, una vera fortuna.

Ora i due giovani si vedevano meno spesso, la ditta veniva come affare prioritario, ci sarebbe stato un tempo anche per loro. Pareva che quella brutta storia dei rifiuti ospedalieri fosse già cosa del passato remoto, si, c’erano ancora tutta la pratica aperta, il lavoro degli inquirenti non era per niente concluso.

Comunque per la ditta c’era un po’ di pace, era stato provato l’estraneità della ditta e dei dirigenti, escludendo quell’Esposito Gaetano. E quella mattina , in ditta si presentò proprio lui, Esposito Gaetano.

Rivendicava il suo posto di lavoro. Affrontò Giacomo proprio davanti ai cancelli.

Giacomo:-e tu che ci fai qua? Non ti basta il danno che ci hai arrecato?stavamo fallendo per una tua cazzata, vai via, per te non c’è lavoro.

Gaetano: -Compa’.. tu non hai capito, io stamattina lavoro qui e tu stai zitto, e nel mentre lo punzecchiava con l’indice battendolo nell’incavo della spalla di Giacomo, con violenza tanto da costringere il pover’uomo a indietreggiare quasi perdendo l’equilibrio.

Giacomo:-(stabilizzandosi sulle gambe per non indietreggiare più) no, tu hai fatto troppi danni e noi abbiamo penato tanto per rimettere tutto in sesto, questa ditta ci costa sacrifici, a tutti noi (e Giacomo alzò il tono di voce.)

Gaetano (strattonando con veemenza il suo datore di lavoro):- Compa’…. tu forse non hai capito. Io qui ci lavoro e tu farai come ti dico, mi hanno detto che mo’ l’azienda sta bene, anzi che ci sono ottimi utili; sai, mi devo rimettere in sesto, ho avuto molte perdite, mi devo rifare ma tu hai capito bene io chi sono?

Questa volta Giacomo fu preso proprio dall’ira, aveva un fisico temprato in palestra, muscoli tonici e ben messi, assestò un destro tanto forte da mandare Gaetano a terra. Ci fu un inizio di zuffa, accorsero molti operai che subito capirono la controversia, afferrarono Gaetano e, quasi sollevato da terra, lo accompagnarono ai cancelli e lo lasciarono cadere a terra; Gaetano si alzò, si stiracchiò i pantaloni, passò la mano sotto il naso mentre guardava uno a uno gli operai e poi fece lo sbaglio di parlare:

– vi ho visto a tutti quanti, che vi credete, state attenti, guardatevi sempre le spalle da questo momento.

Ebbene non ebbe neanche quasi il tempo di finire la frase che si ritrovò circondato da tutti gli operai, si senti qualcosa che lo pungeva alla gola, capì subito che era una lama, sbiancò in viso, non poté capire quale mano era armata, la ressa attorno a lui era veramente stretta, abbassò gli occhi in un atto di sottomissione e la lama sparì come per incanto.

La ressa allentò un poco, ma veramente poco, lo spazio necessario perché un omaccione si facesse avanti:

-noi non sapimmo tu chi si, ma sapimm’anche  noi chi simmi, chest è a fatica nostra e nostra adda’ rimane, ci simm capit…compa’…….

Gaetano capì che si stava giocando la vita, quei padri di famiglia non erano tanto rassicuranti e poi sapeva che quando la folla è disperata è pericolosa, basta un niente per azioni irreparabili; e capì che era il momento di cedere, mormorò appena qualche parola:

-scusa, amico, io non sapevo, mo’ vado via e …

L’omaccione fece un passo verso di lui ripetendo:- e …..

Gaetano:- e …niente, torno a casa mia….Mi son sbagliato.

Omaccione:- Bene, arriderci, compa’.

E quella ressa come si era formata, così d’incanto si dissolse, Gaetano si guardò intorno, tutta la sua spavalderia svanì, con il capo chino si diresse alla sua auto e sgommò via.

Tutti gli operai, risollevati, raccontandosi in parte l’episodio e sentendosi ancora più importanti, tornarono al loro posto di lavoro. Non si avvidero dell’espressione fosca del viso di Gaetano; lui non era tipo da arrendersi, e già pensava alla vendetta.

La vita prese a scorrere tranquilla, il lavoro andava bene, Mary e Alfredo si ritrovavano tutte le sere, ah se fosse stato così proprio per tutte le sere. Quel venerdì c’erano dei resoconti da compilare, Mary, la sua segretaria e qualche contabile si fermarono in fabbrica oltre l’orario di lavoro,  ecco, dopo un paio di ore tutti i prospetti furono aggiornati, i due contabili andarono via  e Mary e la segretaria sostarono ancora un po’ in fabbrica. Le due donne stavano revisionando certe cartelle quando sentirono degli strani rumori, non ci diedero molta importanza, attribuirono il tutto ai soliti gatti, grosso errore.

La quiete di quel venerdì sera fu scossa da un boato assordante, alte fiamme si alzarono dai depositi carburante, un acro odore di gasolio e pneumatici bruciati si sprigionò nella zona e in lontananza già si sentivano le sirene dei mezzi antincendio.

Le fiamme avvolgevano tutta la parte anteriore della fabbrica, proprio dove stavano gli uffici delle due donne.

Olga si stava riprendendo, aveva una scrivania capovolta sulla schiena , cercò di liberarsi e, nei movimenti, si accorse dei mille vetri sparsi un po’ ovunque, aveva un forte mal di testa e si toccò proprio dove le doleva di più, sotto l’orecchi destro, si accorse di essere ferita, aveva del sangue, ma non capiva se c’era una ferita o il sangue usciva dall’orecchio.

Con molta difficoltà riuscì ad alzarsi, la testa le girava, si appoggiò alla parete, e si guardò intorno e fu in quell’attimo che vide i piedi di Mary sbucare dietro un armadietto divelto; Olga chiuse gli occhi, pareva volesse richiamare in se tutte le sue forze, tanti pensieri le offuscavano la mente  e l’odore del fuoco incominciava a farsi sentire, l’ambiente si riempiva di fumo, un fumo acre, puzzolente.

Olga riaprì gli occhi, Dio, Mary (pensò in un attimo) le si avvicinò, cercava di capire se era viva, ma anche lei non era in se del resto, Olga scosse Mary da prima con garbo ma poi presa dal panico la scosse con forza. Mary non rispondeva, il fuoco sempre più vicino e quell’aria irrespirabile, Olga afferrò la sua amica e con uno sforzo incredibile la trascinò in bagno, sperando così di sfuggire alle fiamme. Olga guardò per benino la sua amica, aveva una lacerazione all’interno coscia con ancora una scheggia di vetro conficcata dentro, Olga continuò a seguire con gli occhi la scia di sangue che aveva lasciato dietro di se trascinando l’amica; fu veloce questa volta Olga a capire, si sfilo la sciarpetta che aveva a mo’ di cinta e tentò di fermare la fuoriuscita del sangue dalla ferita dell’amica. Stringeva Olga con tutta la sua forza, ma la testa le girava e la vista si annebbiava e … svenne accanto all’amica.

Olga si risveglio in un lettino di ospedale, aveva una ferità sotto all’orecchio destro, per fortuna l’organo non aveva subito danni, attorno a lei i suoi familiari, tentò di mettersi a sedere ma la mano premurosa della sua mamma dolcemente la fermò.

Mamma: – Olga, fermati, hai una commozione, devi stare tranquilla, non hai ferite gravi , i soccorsi sono arrivati in tempo, la tua amica, la tua amica non si sa se ce la farà, ha perso molto sangue, sta in terapia intensiva ormai già da due giorni, non si riprende e la mamma di Olga scoppiò a piangere.

Entrarono nella stanza dei carabinieri, fecero uscire  tutti e presero la deposizione di Olga.

TERAPIA INTENSIVA

Olga domandò cosa era successo, e così seppe che nell’attimo dello scoppio in zona c’era una pattuglia dei carabinieri, erano riusciti a fermare un’auto che cercava di allontanarsi a tutta velocità, a bordo c’erano tre uomini, uno era Esposito Gaetano.

Nel cofano  dell’auto c’erano anche delle lattine vuote di benzina .Il passaggio in zona della pattuglia aveva scongiurato un danno maggiore di quel che poteva essere, i mezzi di soccorso erano stati allertati per tempo, i danni relativamente contenuti, ma la sua amica , non si sapeva se ce l’avrebbe fatta.

Dopo qualche giorno Olga si poté alzare dal letto e si recò alla terapia intensiva, dalla vetrata poteva scorgere il volto dell’amica, di un pallore impressionante, era intubata e dei macchinari rilevavano tutto quello che succedeva in quel corpo così statico; di fianco al letto c’era un uomo seduto su una sedia, aveva tra le sue mani quella di Mary e si vedevano le sue labbra muoversi segno che parlava . Olga picchiettò con delicatezza sul vetro per attirare l’attenzione dell’uomo, e l’uomo si voltò; era Alfredo, irriconoscibile, smunto in volto, gli occhi segnati da un lungo pianto e ancora qualche lacrima lasciava i suoi occhi per scorrere sul quel volto  sempre allegro. Alfredo, posò delicatamente la mano della sua amata sul lettino, si alzò e uscì dalla camera. Appena fuori abbracciò Olga con un vigore eccessivo, la ragazza fu costretto ad allontanarlo dicendogli:

– Alfredo, piano, mi fai male; dimmi, come sta?

Alfredo, passandosi il braccio sugli occhi per asciugare le lacrime:

– Olga …. non si muove, non parla , non si lamenta, Dio non fa nulla e altre lacrime liberatorie scesero sul suo volto.

Olga lo strinse  a se:- su coraggio, vedrai, si riprenderà, non ti scoraggiare.

Alfredo: – non mi scoraggio, sto sempre qua, le parlo sempre, metto su la sua musica ma nulla, non succede nulla, la mia Mary non combatte più, e, sai, se non le stringevi la coscia con quel laccio improvvisato, sarebbe già morta. La mia Mary…è come una bambola, inerte, mio Dio, mio Dio.

Alfredo rientrò nella stanzetta, si mise a sedere, riprese la mano della sua amata e le raccontava di storie sue del passato, qualsiasi cosa, lei doveva sentire la sua voce, doveva sapere che non era stata abbandonata.

Passò una settimana, Olga lasciò l’ospedale, dopo  qualche giorno tornò al lavoro, non era tutto distrutto come pensava, i danni molto limitati, gli operai si erano rimboccati ancora una volta le maniche e avevano rimesso tutto in ordine, in effetti non c’erano stati danni strutturali, solo due camion erano proprio persi, gli altri stavano in viaggio quel maledetto venerdì.

Alla fabbrica fu fatta un’opera di bonifica, cambiati tutti i vetri, e una bella tinteggiata, il fuoco aveva più spaventato che fatto danni, chi aveva appiccato il fuoco non era pratico di attentati e l’intervento fortuito dei carabinieri aveva contenuto il disastro.

L’unica cosa seria era il coma di Mary, il povero Alfredo si stava consumando al suo capezzale, lui avrebbe dato la vita per quel fiore delicato, ma non poteva far nulla. Anche Olga si recava tutti i giorni in ospedale, vi stava un paio di ore, lo sguardo fisso al volto della sua amica e poi, più angosciosa di com’era arrivata in ospedale, andava via.

E un pomeriggio, proprio in ospedale, Olga ebbe un colpo di genio, Mary era una combattente, la semplice musica non poteva bastare, e così anche lei trascorreva i pomeriggi in ospedale, dava il cambio ad Alfredo.

Durante i suoi turni, Olga si avvicinava spesso all’orecchio dell’amica e le mormorava qualcosa, nessuno aveva capito cosa, ma Olga ne era proprio soddisfatta; erano passati appena due mesi dall’incidente quando una bella mattina ci fu un bel trambusto in quella stanzetta, Mary si era ripresa, il suo coma solo un brutto ricordo, e le sue prime parole furono: – Gaetano Esposito.

E arrivò anche Olga in ospedale, l’eco della ripresa di Mary era arrivato anche a lei.

Olga . – io lo sapevo, Alfredo la tua musica è bella, ma non andava bene per Mary.

Alfredo: – perché ? tu cosa le dicevi sempre all’orecchio?

Olga: – semplice, il nome del suo nemico, e ci ho visto giusto, per lei è stata una bella scossa. Lei non era il tipo da lasciare che la fabbrica chiudesse per opera di quello  e intanto accarezzava il viso di Mary ancora intontito ma sveglio, ora era solo questione di ripresa fisiologica, Mary era sveglia e solo questo contava. A un attento esame Mary non aveva riportato danni dal come, per fortuna il tempo passato in quello stato era stato minimo.

Tra terapie di mantenimento e riabilitazione il tempo scorse veloce, Mary lasciò l’ospedale, Esposito Gaetano, tra gli smaltimenti illegali, tentato incendio alla fabbrica, estorsioni varie, avrebbe passato un bel po’ di tempo in carcere.

Quando Mary tornò in ufficio, trovò la solidarietà di tutti  ma proprio tutti, dal suo datore di lavoro all’ultimo fattorino. E fu proprio la sera di quel giorno che Alfredo la portò nel ristorante più lussuoso della città, tutti i tavoli erano vuoti, c’erano solo loro due, e qualche musicista di violino, Mary capì subito, ma non disse nulla, aspettava che il suo uomo le facesse la tanto attesa domanda.

E quando la cena arrivò quasi alla fine, Alfredo s’inginocchiò dinanzi a lei, aprì un cofanetto e porgendolo a Mary le chiese: – Mary … mi vuoi sposare? Ti prego, non dirmi di no, quel tuo ricovero, quel tuo essere lontana mi hanno fatto capire quanto tu sia importante per me.

Mary (asciugandosi una lacrima):- certo amore mio che ti voglio sposare, sai anche per me la vita … non sarebbe nulla senza di te.

Il matrimonio fu celebrato dopo sei mesi, in fabbrica, c’erano proprio tutti, una serata danzante nel parcheggio dei camion, fu una novità e una cosa piacevole, ci furono momenti di commozione, ma erano tutti li, parevano tutti familiari, non uno si sentì fuori luogo … e gli sposi partirono per il loro viaggio d’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Opere del passato. “Il violinista” di Marc Chagall


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a cura di Antonia Pèsare

L’immagine raffigura un violinista sulla cima di una casa che rappresenta la condizione degli Ebrei nel mondo: una vita instabile come quella del musicista che deve suonare stando in equilibrio su un tetto. Il violinista è un motivo ricorrente dell’opera di Chagall e dichiara il fascino che l’artista subì fin da ragazzo, quasi a farne un eroe. Di volta in volta è investito di significati diversi e nella cultura tradizionale ebraica il violinista aveva un ruolo importante in occasione di nascite, matrimoni e funerali.

Chagall aveva uno zio fratello della madre, che si chiamava Neuch e suonava il violino. Era membro di una setta religiosa di ebrei russi e polacchi, la setta degli Hasidim, i quali aspiravano alla comunione con Dio tramite l’estasi indotta dalla musica e dalla danza. 

In questo quadro vediamo Zio Neuch mentre suona e balla sopra i tetti del suo villaggio, Lyozno, trascinando nella sua scia una figura circondata da un alone d’oro.

Pur essendo dipinto a Parigi, il quadro si ricollega alle opere di Vitebsk del 1909, nelle quali, come dice Chagall, egli tendeva a vedere le cose in bianco, grigio e nero. Ma nelle zone in cui dominano il nero e il bianco, Chagall ha introdotto una modulazione cromatica che dona al dipinto una morbidezza calda e luminosa. La piccola figura a sinistra del dipinto, con le tre teste, è la raffigurazione di un’esteticità ammirativa e ricorda certi affollamenti di devoti attorno ai santi nei vecchi dipinti bizantini dove tra la folla in preghiera si scorgono solo le teste e il biancore degli occhi.

1912-13

Coll. P. A. Regnault, Museo Municipale, Amsterdam, cm 187×158

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Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese

Recensione mostra a cura di Antonia Pèsare

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Sarà possibile visitare, entro il 20 gennaio 2013 presso le Scuderie del Quirinale a Roma, “Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese”, la mostra curata da Sandrina Bandera, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Milano, Walter Liedtke, Curator of European Paintings Metropolitan Museum of Art di New York e Arthur K. Wheelock, Jr., Curator of Northern Baroque Paintings National Gallery of Art di Washington.

E’ la critica di metà Ottocento – a partire dai saggi di Théophile Thoré pubblicati nel 1866 sulla Gazette des Beaux-Arts con lo pseudonimo di Thoré-Burger – che conferisce a Johannes Vermeer (1632-75), massimo esponente della pittura olandese del XVII secolo, il riconoscimento della sua grandezza e, per la prima volta a Roma, una mostra permette di ammirare 8 dei suoi capolavori, tra i quali la “Stradina di Delft” del Rijksmuseum di Amsterdam, “L’Allegoria della fede” del Metropolitan di New York e la “Donna in piedi” della National Gallery di Londra.

Le opere sono legate alla crescita personale e artistica del grande pittore, a partire da un primo inizio giovanile fino alla tarda maturità, e sono ambientate nel contesto medio-borghese dell’arte olandese tra il 1650 al 1670.

Una serie di dipinti sviluppati per argomenti e soggetti diversi, fanno riferimento al contesto culturale dell’epoca e permettono di far conoscere i valori dell’interessante società olandese come la famiglia, i momenti della vita quotidiana, il corteggiamento, la musica come crescita della persona e le vedute della città caratterizzate da una luminosità dei colori che nasce dalla cura con cui Vermeer preparava i pigmenti e sceglieva i materiali di prima qualità. Oltre all’ambito privato, Vermeer si è occupato anche dell’osservazione precisa dei passaggi di luce tanto che la mancanza dei disegni prepraratori nei suoi dipinti (come in quelli di altri pittori fiamminghi) avvalora l’ipotesi che usasse la camaera oscura, un dispositivo ottico che permetteva di ottenere una straordinaria precisione nella fisionomia dei volti e nella rappresentazione degli oggetti, oltre che per straordinari effetti di luce.

Nelle sale delle Scuderie del Quirinale si possono ammirare, inoltre, le opere di artisti suoi contemporanei, come Pieter de Hooch e Emmanuel de Witte, Gerard ter Borch, Gerrit Dou, Nicolaes Maes, Gabriël Metsu, Frans van Mieris, Jacob Ochtervelt e Jan Steen e altri maestri con i quali ha condiviso le tematiche e i soggetti.

Il fatto che a Roma siano arrivate otto delle opere di Vermeer è un evento importante considerando che l’Italia non possiede nemmeno uno dei dipinti dell’artista.  

Orario: da lunedì a giovedì, dalle ore 10.00 alle 20.00; venerdì dalle 10.00 alle 22.30; sabato dalle 9.30 alle 20.00. L’ingresso è consentito fino ad un’ora prima dell’orario di chiusura. 


Scuderie del Quirinale, Via XXIV maggio n° 16 di Roma

Pubblicato su www.vivigrosseto.it il 14 gennaio 2013

Tempo! ladro di sguardi innocenti

Dov’è ,quella gioiosa bambina
che sognava ad occhi aperti,
camminava sulla punta dei piedi,
cantava lieta la sua favola
e aveva un cuore pieno di stelle?
La vita le ha chiesto di crescere.
Il tempo ha smarrito la sua l’innocenza
ma la sua anima è rimasta lì…
in quel mondo magico
sgombro di vita vissuta.
Ora il suo canto è un dolce sussurro
una voce che mi accarezza speranzosa,
cammina ancora sulla punta dei piedi
capace ancora di volare..
 E sfida il tempo,  ladro d’innocenza.
Frammenti di stelle incatenate al cuore,
ancora brillano miracolosa mente in me
che ti cerco nei miei giorni bui..
 Dolce profumo di  gioia  smarrita nel vento.
Grazie!! diletta ,gioiosa  anima bambina.
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