Opere del passato. “Il violinista” di Marc Chagall


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a cura di Antonia Pèsare

L’immagine raffigura un violinista sulla cima di una casa che rappresenta la condizione degli Ebrei nel mondo: una vita instabile come quella del musicista che deve suonare stando in equilibrio su un tetto. Il violinista è un motivo ricorrente dell’opera di Chagall e dichiara il fascino che l’artista subì fin da ragazzo, quasi a farne un eroe. Di volta in volta è investito di significati diversi e nella cultura tradizionale ebraica il violinista aveva un ruolo importante in occasione di nascite, matrimoni e funerali.

Chagall aveva uno zio fratello della madre, che si chiamava Neuch e suonava il violino. Era membro di una setta religiosa di ebrei russi e polacchi, la setta degli Hasidim, i quali aspiravano alla comunione con Dio tramite l’estasi indotta dalla musica e dalla danza. 

In questo quadro vediamo Zio Neuch mentre suona e balla sopra i tetti del suo villaggio, Lyozno, trascinando nella sua scia una figura circondata da un alone d’oro.

Pur essendo dipinto a Parigi, il quadro si ricollega alle opere di Vitebsk del 1909, nelle quali, come dice Chagall, egli tendeva a vedere le cose in bianco, grigio e nero. Ma nelle zone in cui dominano il nero e il bianco, Chagall ha introdotto una modulazione cromatica che dona al dipinto una morbidezza calda e luminosa. La piccola figura a sinistra del dipinto, con le tre teste, è la raffigurazione di un’esteticità ammirativa e ricorda certi affollamenti di devoti attorno ai santi nei vecchi dipinti bizantini dove tra la folla in preghiera si scorgono solo le teste e il biancore degli occhi.

1912-13

Coll. P. A. Regnault, Museo Municipale, Amsterdam, cm 187×158

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Il calore e la paura

Una nuova pubblicazione di Anna Bonarrigo ” Il calore e la paura”

“La passione, un’energia che spinge oltre il limite della volontà. Cio da cui siamo attratti e spesso ciò che temiamo, è li che la passione prende il sopravvento, è li che siamo preda del suo volere.

” Il calore e la paura” inchioda le antisesi e le sublima in un sodalizio inebriante, trascina e intreccia anima e mente, pensiero e sogno, sentimento e tormento in un affascinante mosaico nei colori decisi delle sue liriche ed emozionanti prose narrative da rivicere in ogni loro intrigante immagine. Un audace viaggio dentro la passione, nel vortice dell’energia vitale ed impetuosa che seduce e travolge la volontà.

 

 

Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese

Recensione mostra a cura di Antonia Pèsare

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Sarà possibile visitare, entro il 20 gennaio 2013 presso le Scuderie del Quirinale a Roma, “Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese”, la mostra curata da Sandrina Bandera, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Milano, Walter Liedtke, Curator of European Paintings Metropolitan Museum of Art di New York e Arthur K. Wheelock, Jr., Curator of Northern Baroque Paintings National Gallery of Art di Washington.

E’ la critica di metà Ottocento – a partire dai saggi di Théophile Thoré pubblicati nel 1866 sulla Gazette des Beaux-Arts con lo pseudonimo di Thoré-Burger – che conferisce a Johannes Vermeer (1632-75), massimo esponente della pittura olandese del XVII secolo, il riconoscimento della sua grandezza e, per la prima volta a Roma, una mostra permette di ammirare 8 dei suoi capolavori, tra i quali la “Stradina di Delft” del Rijksmuseum di Amsterdam, “L’Allegoria della fede” del Metropolitan di New York e la “Donna in piedi” della National Gallery di Londra.

Le opere sono legate alla crescita personale e artistica del grande pittore, a partire da un primo inizio giovanile fino alla tarda maturità, e sono ambientate nel contesto medio-borghese dell’arte olandese tra il 1650 al 1670.

Una serie di dipinti sviluppati per argomenti e soggetti diversi, fanno riferimento al contesto culturale dell’epoca e permettono di far conoscere i valori dell’interessante società olandese come la famiglia, i momenti della vita quotidiana, il corteggiamento, la musica come crescita della persona e le vedute della città caratterizzate da una luminosità dei colori che nasce dalla cura con cui Vermeer preparava i pigmenti e sceglieva i materiali di prima qualità. Oltre all’ambito privato, Vermeer si è occupato anche dell’osservazione precisa dei passaggi di luce tanto che la mancanza dei disegni prepraratori nei suoi dipinti (come in quelli di altri pittori fiamminghi) avvalora l’ipotesi che usasse la camaera oscura, un dispositivo ottico che permetteva di ottenere una straordinaria precisione nella fisionomia dei volti e nella rappresentazione degli oggetti, oltre che per straordinari effetti di luce.

Nelle sale delle Scuderie del Quirinale si possono ammirare, inoltre, le opere di artisti suoi contemporanei, come Pieter de Hooch e Emmanuel de Witte, Gerard ter Borch, Gerrit Dou, Nicolaes Maes, Gabriël Metsu, Frans van Mieris, Jacob Ochtervelt e Jan Steen e altri maestri con i quali ha condiviso le tematiche e i soggetti.

Il fatto che a Roma siano arrivate otto delle opere di Vermeer è un evento importante considerando che l’Italia non possiede nemmeno uno dei dipinti dell’artista.  

Orario: da lunedì a giovedì, dalle ore 10.00 alle 20.00; venerdì dalle 10.00 alle 22.30; sabato dalle 9.30 alle 20.00. L’ingresso è consentito fino ad un’ora prima dell’orario di chiusura. 


Scuderie del Quirinale, Via XXIV maggio n° 16 di Roma

Pubblicato su www.vivigrosseto.it il 14 gennaio 2013

Sibilanti intendi

 SIBILANTI INTENTI di Mauro DRAGO

Torno tra le mie mura,

nei luoghi,

tetri d’inquietudine…

Nelle stanze dove mi fingo sereno,

e ritrovo,

il falso senso di ogni cosa.

 Dove ho ancora:

fioche realtà da inventare e vivere,

e sibilanti intenti…!!!

Dove ho silenzi,

da far gridare…,

sogni da deridere…

 Torno…!

Tra le pareti dipinte dal ricordo

e la paura di cambiarne i colori.

Tra le incertezze di un destino opaco

e le fobie inette

di un presente stanco…!!!

Il ragno e l’iguana

SINOSSI

Il Ragno e l’Iguana è l’opera prima di Elisa Vamgelisti, scrittrice di poesie e brevi racconti. Essenzialmente è una storia d’amore raccontata attraverso un fantasy. Si svolge in Nevada (Stati Uniti) nel 2010 ed il titolo si rifà ai soprannomi dei due protagonisti principali, i sedicenni Rynn e Gabriel: appunto, il ragno e l’iguana.
La particolarità del personaggio femminile consiste nel fatto che Rynn ha un dono: è una sorta di sensitiva.

(…) Riuscivo a sentire le emozioni della gente, quasi come se riuscissi veder loro attraverso. Leggevo gli stati d’animo. Li vedevo visualizzati come fossero solidi, concreti.
(…) attorno alle persone percepivo e vedevo luci, bagliori, luminosità e nebbie, ma non solo.
Le emozioni mi raggiungevano attraversandomi come se fossero mie (…) era come se fossi intrappolata in quelle degli altri. Vicino a persone arrabbiate o addolorate mi sentivo veramente male (…)

Gabriel invece è un vampiro, personaggio piuttosto sfruttato che però ho voluto rendere originale mescolandone le versioni esistenti.

(…) Dopo qualche minuto abbassò la testa e infilò il naso tra i miei capelli, appoggiandolo sul collo e facendo le sue strane cose da vampiro. Sentire il suo respiro fresco sulla pelle mi dava un leggero brivido, che era a metà tra il freddo e l’eccitazione. Il mix era micidiale. (…)

Vivere una storia d’amore con questi presupposti creerà loro non pochi problemi, soprattutto perché il vampiro ha comunque un lato oscuro e aggressivo.

(…) d’improvviso, mi afferrò un polso e ci affondò i denti, con ferocia. Non ebbi il tempo di provare paura, perché sentii immediatamente una fitta lancinante di dolore che saliva dal polso e si estendeva a tutto il braccio, fino alla spalla (…)

Lo stile dicono sia moderno, insolito, brillante, riflessivo ma a tratti ironico, ricco di metafore e di citazioni: da Guardia del corpo a Madonna, da Barbablù a Campanellino.
Il mondo chiuso entro il quale si svolgono i fatti è fondamentale per incentrare il racconto sulla coppia dando importanza ai sentimenti, che è quello che mi interessava fare.
Non accadono strani fenomeni inspiegabili, il racconto si svolge come una semplice storia d’amore tra due persone diverse per età ed esperienze. L’atmosfera che si respira è quella della vita reale, i protagonisti sembrano i due della porta accanto alle prese con le complicazioni di un rapporto particolare, ma vero.
Gabriel non è il “solito” succhiasangue, si accontenta di quello della sua ragazza; c’è inoltre un lato sensuale perché il suo piacere mentre si nutre, considerato il dono di Rynn, si trasmette ad entrambi. Successivamente non mancherà di estendersi al loro rapporto fisico, ma raccontato sempre con delicatezza e senza esagerazione.

(…) Quando Gabriel si nutriva di me era sempre un gran momento. Semplicemente non ero io, non del tutto. Nel senso che mi sentivo come qualcosa che era in parte me e in parte lui. Si formava uno strano essere fremente e luminoso, più simile a un trasparente animale marino degli abissi che all’unione di due esistenze terrene. (…)

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